> R.A.M. Giovani artisti di Ravenna e Provincia

14 aprile - 6 maggio 2007

Urban Center, Ravenna


Sottopelle | Giovanni Lami


 

(La città pulviscolare) La città contemporanea non è più rappresentata da un sistema di scatole architettoniche rigide e specializzate, ma piuttosto da un flusso ininterrotto di merci prodotti servizi informazioni che, attraverso i vecchi contenitori, ne trasformano rapidamente l’uso, ne sfumano i confini e ne rinnovano l’immagine (in “Domus”, n.900, p.17)

 

L’occhio di Giovanni Lami si immette nel flusso della vita urbana per tracciare la mappa di una fisiologia nascosta, e le immagini che contengono frammenti del “qui e ora” del Villaggio Anic – una parte del corpo di Ravenna nato dal nulla nel ‘55, cresciuto, mutato nel tempo – sono una pagina di questa esplorazione, che in qualche modo ha avuto inizio col progetto “Ravenna viso in giù” per No border #4.
C’è subito da dire che la fotografia di Lami unisce ogni volta al clic dell’obbiettivo il rumore leggero dei passi. La sua ricerca non è data dal guardare, è un camminare, perché essere dentro ai luoghi, raggiungerli e attraversarli fisicamente (da Chernobyl a Ravenna, ora che vive a Roma), permette di cogliere i segnali della vita che scorre in loro, sotterranea e in superficie.
E occorre aggiungere che la visione della città negli ultimi lavori appare radicalmente binaria: da un lato gli spazi, i luoghi, gli edifici, deserti come una gost town di frontiera o un set cinematografico al termine delle riprese, dall’altro i volti, gli sguardi, le presenze.
Veduta/svuotata chissà come da ogni presenza umana/ e ritratto/di quanti quotidianamente abitano quegli spazi/ sono il doppio filo del suo reportage, una visione binoculare che affida al pensiero dello spettatore il compito di far confluire la duplice sequenza in una, dai contorni mobili e programmaticamente sfocata. Nella quale declinare con un punto di vista antropologico l’interrogativo futurista: siamo noi a entrare (o abitare) negli spazi o gli spazi entrano (o abitano) in noi?
Ogni volto contiene la storia del luogo e la riscrive al presente. Quarant’anni all’Anic, lavoro e casa, il quartiere - non la città - è stato spazio di vita, famiglia, amici. Oppure nascere qui piuttosto che al Sud, perché il padre lavora in fabbrica, e finire per starci anche quando le ragioni di allora non ci sono più. Siamo sole, raccontano le ragazze, i figli dei vecchi dipendenti del petrolchimico sono diventati grandi e vivono altrove, non c’è quasi nessuno della nostra età…
Il “villaggio” è un luogo comune come pochi altri in città, un tessuto di relazioni, dove le esistenze di chi lo abita si intrecciano. Eppure non è divenuta la città-giardino dei primi progetti, è piuttosto un agglomerato di condomini e complessi residenziali, un po’ di verde intorno, i campi in cui fare sport, un centro sociale, la chiesa, e un innesto recente per lo shopping.
Questi edifici assunti a protagonisti delle immagini di Lami sono organismi impenetrabili, ritratti come immensi still life (alla lettera una “natura in posa”) per la loro innaturale fissità e il silenzio che li accompagna. Qualcosa intorno sembra aver fermato il mondo e la quotidianità appare sospesa in una dimensione desueta, aliena. Qual è il “trucco”?
C’è prima l’individuazione di un tempo.
Alla rapidità dello scatto fotografico l’artista oppone il tempo lento e ragionato del banco ottico, un procedimento che ha fatto suo, mentre alle manipolazioni digitali preferisce l’impressione della realtà sulla pellicola. Realtà o meglio, l’artificio presente nella realtà. Per questo sceglie quasi sempre un’ora singolare per fotografare, il crepuscolo. E’ il momento di apnea in cui la luce del giorno si affianca lentamente a quella della notte ( in tedesco il campo semantico si allarga, da “dämmerung” a “twielicht”, vale a dire “doppia luce”) e, prima di perdersi, diviene fredda, tagliente, saturando i colori. Penso a un dipinto di Klinger, “L’ora blu”, che nella colorata atmosfera di quell’ora magica racchiude un senso indefinito d’attesa, l’altrove dei sogni, lo sguardo proteso oltre la realtà.
Al crepuscolo ancora non viene meno la luce naturale, eppure si accendono le luci, come se l’indeterminatezza dell’ora fosse più densa e insopportabile dell’oscurità. In questo momento del giorno lo straniamento non è un sapiente meccanismo “alla Magritte”, ma un fenomeno naturale.
Allora, come nelle immagini di Lami, i luoghi della visione quotidiana appaiono sur-reali, veri, precisi eppure ignoti, e osservandoli proviamo un senso di spaesamento. Dove siamo?
Forse al confine di un altro spazio, di un altro sguardo e, comunque, non più all’esterno.

 

di Maria Rita Bentini

 


Giovanni Lami (vincitore sezione Fotografia)

Nato a Ravenna nel 1978 - www.giovannilami.it - info@giovannilami.it
Mostre collettive
2005 f:8 - 8 fotografi si fanno strada, Palazzo Marchesale, Matino (Lecce).
Magma, Acireale (Catania).
2004 NoBorder 4, a cura di Claudio Spadoni, Maria Rita Bentini, Serena Simoni, S. Maria Delle Croci, Ravenna.
Mostre personali
2007 Physiology, Santa Maria delle Croci, Ravenna.
2004 Il sonno dei nuclei, Sala espositiva Oriani, Ravenna.
2003 I/O, cripta Rasponi, Ravenna.