Guardare (e leggere) ciò che non si può capire di Dario Morgante


Se l'immagine dei Balcani che si ha in Italia è un cross over tra le spiagge della Dalmazia e le fosse comuni del Kosovo allora si può serenamente affermare che l'immagine che nei Balcani hanno dell'Italia è una macedonia di Adriano Celentano e Alan Ford. Come a dire, non è colpa nostra, e non è colpa loro. Se poi qualcuno volesse aprire un po' più gli occhi scoprirebbe che la vita nei Balcani è in realtà più semplice, più felice e più tragica di quello che si immaginava.

Se pensate che sia dura fare fumetti nella tristissima ed infinita provincia italiana allora provate ad essere l'unico disegnatore esistente in Albania o a disegnare pupazzetti in Kazakhistan, dove l'impresa consiste essenzialmente nel sapere che esistono, i fumetti.

Insomma, è dura, e i fumetti che arrivano da quelle regioni poco felici sono duri anch'essi. I segni graffiano la pagina, la masticano, urlano. Sono spesso popolati di incubi, ricordano la follia picassiana e i dada molto più di quanto non ricordino i supereroi della Marvel. Certo, bravi professionisti della linea chiara e del segno hi tech popolano le rive del Danubio, o più prosaicamente la periferia di Sarajevo. Lavorano tutti immancabilmente per l'occidente, per gli americani, i francesi e gli italiani. Manodopera diligente, seria e rispettosa delle scadenze. Ma non abita lì l'anima di quei posti. E non abita nemmeno negli orridi cloni dei supereroi che ogni Stato in guerra durante il decennio terribile che ha chiuso il novecento ha diffuso e propagandato per “formare” culturalmente i propri ragazzini. I comic book con gli eroi ustascia o la serie con protagonista il comandante Arkan sono il corrispettivo balcanico degli eroi presidenziali americani come Superman e compagnia cantante.

I fumetti non possono aiutare il lettore occidentale a comprendere la realtà dei Balcani, anzi, più facilmente lo confondono, come leggere gli appunti intimi di una persona sconosciuta, di un'altra età e abitante in una città aliena. Possiamo guardare le pagine della rivista Stripburger, come se guardassimo un documentario su Marte. Non apprendiamo nulla, tranne che il più delle volte gli autori sembrano – e probabilmente sono – fuori di testa. La verità è che non c'è modo per capire, neanche saltando su un aereo per scenderne a Zagabria o a Belgrado, o prendendo un treno per sbarcarne a Lubiana, a Sofia, a Pecs o a Timisoara. La realtà dei Balcani ci rimarrà sempre ignota, assieme alla “follia slava” e ai divertenti ma misteriosi film di Kusturica.

Per questo dobbiamo assolutamente guardare e leggere le nuvole parlanti provenienti da oltre la ex cortina di ferro, farci ispirare e rifletterci sopra. Perché è come leggere quel famoso diario. Senza forse poter capire, ma almeno provandoci. Aprendo varchi di comunicazione, perché quello è l'obiettivo del vero fumetto, quello è il senso della reciprocità umana. “Non dico di capirti, ma ti rispetto”.

A questo punto, nella prima versione del mio articolo, il cursore lampeggiava sulla parola fine, ma il pezzo è tornato indietro con delle note che dicevano pressapoco “sei sicuro che i Balcani siano tutti un mucchio?” e “Fai dei nomi”. Ora si potrebbero spendere fiumi di parole (e io l'ho fatto, ahimè) per dire quanto i popoli dei Balcani e i loro fumettisti siano simili e al tempo stesso diversi. A me sembra che ci siano profonde similitudini, una vera via balcana al fumetto, ma rimarrei legato ad una percezione distorta della realtà. Perché leggo e traduco e qualche volta pubblico i fumetti underground, che sono bellini e simpatici quanto vuoi, ma che ovviamente non sono la cosiddetta cultura ufficiale. L'ultima volta che sono stato a Belgrado leggevano tutti un orrida rivista di satira politica a fumetti, ma l'idea che mi ha dato era di uno scimmiottamento fuori tempo di Mad. E riguardo a quel fatto di fare nomi.... me ne viene in mente uno solo, Milcho Manchevski, che non disegna fumetti, almeno non che io sappia, ma dirige film. Il signore in questione è macedone, e precisamente l'unico regista macedone che esista al mondo, il che non deve sorprendere visto che in tutta la Macedonia vi sono sei sale cinematografiche, e l'anno scorso al Festival di Venezia presentò il suo “Dust”, storia di fratelli e coltelli tra New York e i Balcani, allegoria selvaggia del secolo orribile e appena trascorso. Nel film una carneficina finale spazza via tutti, buoni e cattivi, giusti e ingiusti, invasori e partigiani. E Corto Maltese. Che c'entrava il personaggio creato da Hugo Pratt e diventato nel tempo una icona del fumetto d'autore all'europea? Lo ignoro, ma c'era, e tirava le cuoia. Benvenuti nei Balcani.

Dario Morgante (Roma, 1971)
Editor e sceneggiatore, lavora per la casa editrice “Mare Nero” dopo aver diretto per anni la rivista progetto Kerosene con la quale ha anche realizzato l'omonimo festival. Assieme al disegnatore Antonio Pepe ha pubblicato l'albo a fumetti “Ti amo anch'io” ed è stato premiato al Napoli Comicon con la targa “Micheluzzi – Strade Nuove”. Curatore di numerose iniziative editoriali è anche tra i fondatori del sito “Cinema invisibile”, dedicato a far emergere le opere cinematografiche minori. 



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