Oltre il velo di Teresa Macrì


Bisogna subito sfatare due stereotipi che ancora condizionano l’immaginario occidentale davanti all’universo femminile in cui Marjane Satrapi si viene a collocare: il primo, il più banale, è la totalizzazione e la strumentalizzazione del velo. Una sorta di identificazione automatica con cui si globalizza l’identità femminile musulmana. Un superficiale cliché che svuota la riflessione su quale sia il reale significato di un capo di vestiario che è divenuto quasi un'icona persecutoria. Il secondo, piú problematico, è la riduzione del ruolo della donna all’interno della moderna società iraniana. Marjane Satrapi, alla stregua della più famosa Samira Makhmalbaf, così come sono canalizzate dai media occidentali, potrebbero apparire come due mosche bianche che rompono una convenzione. La complessità del reale impone, in realtà, una revisione di quelli che sono i retaggi di una disinformata e riduttiva conoscenza delle società islamiche. Bisognerà pur smontare, prima o poi, quella cecità che ancora persiste e con cui si dischiude lo sguardo verso l’altrove, quella “costruzione immaginaria”, intuita da Edward W. Said, con cui si perimetra il mondo erroneamente e pregiudizialmente.

Il dibattito persistente sull’uso del chador ( nei paesi arabi l’hijab e in Afganistan il burqua) tende a restringere le problematiche sui problemi più urgenti in società che sono complesse e drammatiche come la loro storia. Molto spesso sociologhe e scrittrici musulmane, soprattutto Fatema Mernissi e Leila Amhed , ne hanno sollevato la questione contestualizzando la fenomenologia del velo all’interno di una memoria, di una tradizione e di un pudore che mal si alloga nella mentalità refrattaria dell’occidente. La Amhed infatti traduce così l’ostinata condanna dell’uso del velo: “L’idea dell’oppressione delle donne nelle società colonizzate o in quelle oltre i confini dell’Occidente civilizzato, venne usata retoricamente dal colonialismo per rendere moralmente giustificabile il suo progetto di smantellamento delle culture dei popoli soggiogati…Il femminismo colonialista antislamico asseriva, in sostanza, che l’Islam era, per sua stessa immutabile natura, oppressivo verso le donne e che l’arretratezza delle società islamiche era dovuta, fondamentalmente, a questi costumi, simbolizzati dal velo e dalla segregazioneˡ”. Del tutto distrofica è, invece, la orientazione con cui si guarda alle esperienze culturali e produttive, al femminile, del mondo musulmano. Che Marjane Satrapi sia una fumettista non rappresenta di certo una anomalia. La rappresentazione femminile ha una esistenza ed una consistenza piuttosto profonda, che si diversifica nell’emisfero cinematografico dove le varie Rakhshan Bani-Etemad, Forugh Farokhzad, Tamineh Dilani, Puran Derakhshandeh hanno anticipato quella visibilità internazionale che la più giovane Samira Makhmalbaf ha saputo ottenere negli ultimi anni a fronte di un interesse sempre maggiore per la cinematografia iraniana. E, qui, a trascinarne l’attenzione, è stata l’ intensità della filmografia e della fotografia visionaria di Abbas Kiarostami .

La Satrapi, dunque, si inserisce in quel sommovimento culturale che, debordando e incrociando le geografie, staglia una differente modalità di intervento. Pur oggettivandosi in una narrazione sarcastica e al tempo stessa tenera, la Satrapi risolleva la storia. Quella che l’ha “schiacciata” negli anni della rivoluzione khomeinista, quella che l’ha accompagnata nel suo errabondo viaggio di esule all’interno di una Europa dilatata. Azera, turcomanna, musulmana, zoroastriana, comunque un'identità fragmentata che si autorappresenta attraverso lo scherno e la memoria, attraverso una ironia pungente e una malinconia spasmodica. Comunque all’interno di una rappresentazione estetica che riporta la stessa intensa coscienza delle artiste iraniane che, sempre piú decise e sempre più numerose, riaprono un orizzonte fantasioso. Una scia di Sherazade affabulanti che più fortemente della già famosissima Shirin Neshat, il cui immaginario artistico ha sempre frusciato tra le spire del distacco natio, hanno avuto la forza e la resistenza di imporre poetica e fantasia all’interno della non certo facile società iraniana. Soprattutto le giovani Shadi Ghandarian, Ghazel, Malekeh Nayiny: una nuova generazione di salaci artiste che impongono il rinnovamento formale e al tempo stesso l’attenzione verso problematiche dell’identità, ricomponendo un universo immaginario, teso verso la modernità. Un filo comune e ammaliante lega questa nuovissima ondata di “eroine” del racconto visuale: l’auto-rappresentasione del Sé. Non c’è piú delega né compiacenza al riporto altrui: sia allo sguardo morboso orientalista che per secoli le ha confinate all’interno di voluttuosi harem, discinte e lascive, assecondando un gusto tipicamente europeo, sia allo sguardo maschile che ne ha deviato i sentimenti. Queste giovani “figlie di Allah” come sarcasticamente le definisce l’opera dirompente di Shirin Neshat, si annunciano combattive e mordaci. Si auto-narrano nelle loro infinite e comuni esperienze, si ridentificano nelle loro nuove certezze. Marjane Satrapi gioca sul filo dell’infanzia e costituisce un riporto mnemonico in assoluta soggettiva che evidenzia quel Sé, ancora mutevole ma lucidissimo, dell’età infantile. Marji, la dolce bambina avvolta nel suo chador, assorbe quelle incongruità del suo tempo. Si scontra sensibilmente con un reale che non la convince. Sogghigna, sbeffeggia, si interroga continuamente. Attraversa Persepolis con quel senso di incredulità e al tempo stesso di irrisione. La conoscenza della realtà sembra beffarda, insostenibile, cosí come poi le diventerà nel corso del tempo. Costretta all’esilio in Europa, al distacco dai genitori e dai luoghi, dai tepori, dagli odori della sua infanzia. C’è un fascino bizzarro nelle sue strisce che è commistionato da un sottile sentimento di perdita ad un intenso desiderio di recupero. Una sorta di rendiconto con se stessa e con la sua storia. A noi lettori ci lascia, irrimediabilmente, su un confine: quello del possibile e dell’impossibile. Quello che stupisce o che annichilisce.


1 Leila Amhed, Women and gender in Islam Historical roots of a modern debate, Yale University Press, New Haven

and London , 1992



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